Siete ospiti, miei e della Rappresentante di Lista.


Uno dei motivi per cui scrivo è dare sfogo alla mia necessità di mettere giù quelle parole che a voce non mi escono facilmente. Questo blog è una sorta di diario, personale ma non troppo, un tentativo di condivisione multipla con amici ma anche con sconosciuti: gioie sì, ma anche dolori, attraverso la musica che mi ha fatto crescere. E che tuttora lo fa. 

Sappiamo tutti che non può esistere il bel tempo senza il brutto, giorni di sole hanno ragion d’essere solo se intervallati talvolta da pioggia scrosciante e adesso vorrei portarvi con me sotto il mio ombrello, tra questi miei giorni di pioggia. Chi ha tempo e voglia, legga e magari troverà un po’ di buona musica sotto tutta quest’acqua. 

Appunto, la musica. Fin da quand’ero bambina, mi trascino dietro una convinzione, un’abitudine o potremmo chiamarlo addirittura un monito interiore che mi ha sempre portato a non ascoltare musica in momenti in cui accade qualcosa di triste attorno a me. Come se farlo fosse irrispettoso, un tentativo di sminuire il dolore e la gravità della situazione, una strafottenza tipica di chi non soffre. Anzi, se una canzone parte per caso in radio o tv, è quasi giusto sentirsi in colpa. Sia chiaro: questo non mi è mai stato detto per esplicito, nessuno è mai venuto a dirmi “non si fa”. Però, “si sa”.

Adesso, in giorni di tristezza estrema per me e la mia famiglia, ammetto che lo sforzo di tenere spenta la musica mentre vado e torno dal lavoro mi sta diventando stretto. I brani che compongono la mia libreria musicale mi conoscono: sanno cosa provo, sanno come sono e per cosa mi affliggo, sanno cosa mi fa sorridere e mi appartengono come se fossero minuscoli pezzi di me. Millimetri di pelle, capelli, gocce di sudore e talvolta lacrime: perché lasciarli fuori da questa tristezza?

Cosa sento ora? Un frullato di rabbia, stanchezza, sfiducia, incredulità, dolore, ma non starò a spiegarvi il motivo dato che capita a tutti di doversi confrontare con dei mostri e doverli combattere, vorrei in verità rendervi partecipi della mia ribellione a quella convinzione atavica di cui parlavo in principio.

Non ci sto a spegnere la musica. 

Non è quello il verso giusto per concentrarsi su un dolore che invece voglio accogliere ed accompagnare teneramente, o violentemente se serve, altrove. 

Un gruppo musicale adesso mi sta aiutando molto in questo processo, i miei giorni pieni di rabbia grazie alla voce di Veronica Lucchesi de La Rappresentante di Lista prendono un piega motivazionale. Non lascerò, non lasceremo, che tutto accada senza rimboccarci le maniche, troppo semplice arrendersi.  “Bu Bu Sad”, l’ultimo album del gruppo, è una scarica di energia, una rimescolata vigorosa che mi rimette in piedi quando mi sto per afflosciare, la botta sulla schiena che me la raddrizza quando mi incupisco e mi ripiego su me stessa. No, brutti pensieri, non vi lascerò il tempo per rubarmi la voglia di credere. Di sperare. Di accendere quella musica che mi conosce e mi ascolta meglio di quanto io ascolti lei.

Tre i pezzi più riusciti dell’album: 

1. “Bora Bora” che parla di vendetta. Nei confronti di un uomo ma magari anche nei confronti della vita, di un amico, di un lavoro ingrato;

2. “Siamo ospiti” col suo elenco numerato di verità, di richieste disperate. Quasi un piccolo ululato nell’intro, la voce di Veronica comincia piano a fare gli onori di casa e ci sentiamo noi stessi ospiti del brano;

3. “Un’isola” che non è una canzone, sono due. Se si ha la pazienza di aspettare il minuto 3:16 si può davvero scoprire un brano nel brano. Una sorpresa: la potenza dell’inversione di marcia della melodia, la forza degli acuti che mi toglie e restituisce ossigeno al contempo, una voglia matta di scaricare quell’energia che ho dentro addosso a qualcuno o qualcosa e la possibilità di farlo grazie all’ultimo minuto di questo pezzo unico. 

Degni di nota però sono anche i singoli “Cosa farò“, “Guardateci tutti” ed “Apriti cielo!“: pieni, forti, dissacranti, amorevolmente feroci e pubblicati come l’intero disco da mamma Garrincha Dischi (etichetta di Ex-Otago, Lo Stato Sociale e parenti). 

Inizialmente pensavo che il gruppo scimmiottasse un po’ Florence and the Machine, tanto che i vocalizzi di Veronica quasi mi urtavano. Poi, grazie alla mia testardaggine, sono andata oltre e ho scoperto un nuovo mondo. Che non è indie, non è rock, non è punk. È un’evoluzione, una storia che continua grazie al mutamento del gruppo che è partito come duo, prima di arrivare alla formazione attuale. Formazione che ha reso possibile la creazione di “Bu Bu Sad” con la sua varietà di suoni, voci, colori, ci sento pure degli odori in quest’album. 

Io sono molto abitudinaria e così le mie emozioni: non piango quasi mai in occasioni che lo richiedono, lo faccio mentre cammino da sola andando in ufficio e lo facevo un tempo andando verso scuola. Ed è li, nei miei passi di quei giorni tristi che lascio alzare la voce a quel che ho dentro, senza zittirlo perché, se sono degli estranei a guardarmi, poco mi importa. È li che La Rappresentante di Lista afferra il mio dolore e lo scaraventa sul marciapiede, tra i passanti, nei bidoni della spazzatura o sulle panchine della fermata del tram… dandomi nuova energia una volta arrivata a destinazione. 

No, non lascerò a casa le cuffie.

Non mi sentirò in colpa se al bar partirà una canzone.

Lo prometto a chi la musica me l’ha insegnata… non la spegnerò, giuro.

Enza

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