Lo spazio vuoto, gli affetti e la noia. Specie quando è bellissima.


Non scrivo da un po’, saranno le feste di Natale che mi anestetizzano sempre un tantino. Non sono mai riuscita a spiegare perché, nè agli altri ma nemmeno a me stessa… chi lo sa che succede nella mia testa in quel periodo. E’ un percorso quasi abitudinario: comincia tutto con il giorno del mio compleanno nel quale mi sveglio la mattina con una sensazione di “fastidio” dalla quale molti anni fa mi liberavo piangendo. Appena sveglia. Ora, tranquilli, ho smesso con grande giovamento dei miei genitori, fidanzati, amici e parenti vari che si sono svegliati con me in tutti questi anni in quella data. Non la chiamerei malinconia, forse inadeguatezza a sentirmi al centro di attenzioni che non ho cercato: una cosa è scegliere di essere al centro (come quando scrivi un blog…!), un’altra è ritrovarcisi. Un po’ come quando ti fanno una festa a sorpresa. Ma perché? Chi l’ha detto che son belle le feste a sorpresa? Che magari succede come nel film di Pieraccioni (Ti amo in tutte le lingue del mondo) in cui è la moglie a far la sorpresa a lui, rientrando a casa e rispondendo alla telefonata dell’amante mentre il povero marito l’aspetta in soggiorno tra festoni, trombette, coriandoli e amici nascosti dietro ai mobili. No no, niente sorprese grazie. 

Quando ero piccola la sera di Natale andavo a letto prima rispetto al solito, così la mattina arrivava più in fretta! E funzionava. Ricordo di aver finto di credere a Babbo Natale per almeno un paio d’anni dopo averlo scoperto, temevo che fossero i miei a rimanerci male… vedevo bene l’entusiasmo con cui ci tenevano a farci (io e mia sorella) trovare i regali sul tavolo la mattina del 25 dicembre. Non sotto l’albero, ma sul tavolo, Babbo Natale aveva quasi sempre la sciatica e andava facilitato a casa nostra.

Il Natale porta sempre delle strane considerazioni, anzi il Capodanno ancora di più. Sono solo io ad avere la sensazione che nella notte di San Silvestro gli affetti diventino più importanti? Più meritevoli di un abbraccio, un messaggio, una telefonata. Un pensiero, quando non c’è modo di contattarsi. 

Ogni Capodanno faccio lo stesso rito: ridefinisco le posizioni della mia top five degli affetti. Togliendo fidanzato e famiglia, chi sono le 5 persone che non si schiodano dalla classifica? Sono davvero sempre 5 o qualcuno durante l’anno l’ho perso per strada? O magari è slittato giù nelle posizioni meno rilevanti? Il vizio più grande che ho è sempre quello di “essere buona” e dare una seconda possibilità a chi quel posto non ha di certo sudato per mantenerlo, però se sento ancora qualcosa che ci lega non me la sento di togliergli la sua medaglia. Gli do ancora un anno, sarà sicuramente più meritevole l’anno prossimo.

Poi succede anche che quel qualcosa sia io a non sentirlo più… e lì son cavoli. Quando qualcuno mi scende dal cuore non riesco proprio a fornirgli appigli per risalire, divento liscia liscia, senza spigoli o increspature a cui aggrapparsi. E non c’è nulla da fare. Per fortuna capita raramente e la mia top five è cambiata molto poco, chissà se queste 5 persone sanno di stare lì buone buone nel loro gradino. Magari, leggendo questo articolo, lo spereranno? O lo temeranno?! Forse dovrei dirglielo io. Non so, può darsi che non gli interessi. 

Di fatto sono io ad averne bisogno, anche un po’ per monitorare il mio grado di affezionabilità al prossimo, se sono costante e coerente allora i nomi saranno quasi sempre gli stessi. Fino ad ora resto sulla buona strada, direi. 

Durante queste feste ho ascoltato il nuovo album di Nicolò Carnesi, giovane siciliano trapiantato a Milano, dalla voce un po’ Battistiana. E dai testi un po’ Colapesciani. 

Carnesi torna con “Bellissima noia” dopo 2 anni da “Ho una galassia nell’armadio”, album sulla fisica quantistica (!) con cui l’ho piacevolmente scoperto. Nicolò sa di futuro, di parole appena inventate dette da voci familiari, di tecnologia moderna in un posto antico, di spazio, di etere: “M.I.A.” ne è l’esempio lampante. Sembra sia un robot a parlare, un avatar. 

Questo ragazzo da sempre canta l’amore com’è ma anche come dovrebbe essere, la realtà degli uomini come la vorrebbero vivere ma anche come spesso si ritrovano a viverla. 

Si cantava “Lungimirante” nel pezzo omonimo scritto con Oratio nel 2012, una canzone allegra e positiva sulla bellezza dell’immaginazione, il “punto di rottura con la razionalità”. E lungimirante è stato, cucendosi addosso uno stile tutto suo, fatto di melodie elettro-pop-partenopee che negli anni lo hanno portato a collaborare con Brunori SAS, Lo Stato Sociale, Dimartino, tutti amici che rientrano nel calderone “indie”. Che poi chissenefrega di catalogare tutto e tutti, la musica non è forse l’unica cosa davvero universale che abbiamo? Fosse per me le toglierei tutte queste etichette.

Il primo lavoro di Carnesi si chiamava “Gli eroi non escono il sabato” ed era (proprio per non parlare di etichette!) un po’ più rock dei successivi, più giovane senz’altro ma non meno profondo: “Il colpo” per esempio raccontava bene la pazzia. Com’è strano abituarsi a cantare una canzone a memoria e poi realizzare che non hai mai ASCOLTATO il testo: lo scopri per caso mentre un giorno ti soffermi noiosamente sulle parole perché non hai nient’altro a cui pensare. E capisci che non avevi capito niente. E quella canzone ora sì, ti piace ancora di più ed è diventata improvvisamente un’altra canzone, un pezzo tutto nuovo. Con “Il colpo” mi è successo proprio così e da quel momento il mio rapporto con Nicolo Carnesi è diventato più profondo, più impegnato. Ricordo ancora i viaggi in tram con la sua voce nelle orecchie, mi sembrava di conoscerlo mentre cantava “Forma mentis” e quasi gli rispondevo.

Me la sognavo una data live, ma in quegli anni Nicolò era fermo, si stava godendo un po’ di sana noia per essere poi pronto a regalare a me e pochi altri una serata di gennaio intima e personale. Un piccolo presente, ecco.

Riprendo a scrivere qualche sera dopo, nell’Auditorium Demetrio Stratos di Radio Popolare mentre aspetto che Nicolò salga sul palco a 4 metri da me. Sono sola a godermi questo momento, mentre le seggiole colorate prendono lentamente vita e danno calore all’attesa. Aspettare di ascoltare un artista che seguo da tempo (specie se è la prima volta che riesco a vederlo live) è una delizia che rende l’impazienza goduriosa… pssatemi il termine. È che io in questi momenti mi sento accesa, elettrica e rilassata allo stesso tempo, leggera, piena di aspettative ma anche pronta a mandarle a puttane tanto son qui a farmi del bene, che mi importa di una stonatura di troppo!

Stasera purtroppo ho un irrequieto e intermittente mal di testa, stare sotto il palco non dev’essere un’idea intelligente ma ci provo lo stesso, tanto il mal di testa ormai ce l’ho! Tra un pezzo e l’altro riesco comunque a rilassarmi, così il dolore me lo ricordo solo mentre Nicolò e i suoi non suonano, maledetto silenzio. 

L’esibizione di stasera è davvero piacevole, diversa rispetto al classico concerto in cui spesso gli artisti non interagiscono per chissà quale motivo (vergogna, fretta, stanchezza, timidezza o semplice carattere?). Sì perché ogni 4/5 pezzi lo speaker di Radio Popolare fa qualche domanda a Nicolò, il programma è in diretta, così sembra di essere in un salotto a sorseggiare tè mentre Carnesi diventa sempre più simpatico, seppure un po’ grigio nelle cose che dice: tende ad essere malinconico, quest’album dice che “è a metà strada tra l’ironia e la morte” però lo fa con un sarcasmo da scenetta alla Carlo Verdone. Io adoro Carlo Verdone, per inciso. 

Altro inciso: parlavo di regalo prima, questo concerto è gratis. 

Tutto l’album scorre leggero, attraverso canzoni introspettive come “Il lato migliore“, frenetiche come “Ricalcolo” (a Milano si cammina troppo!), sognanti come “Fotografia” fino a quegli ultimi 8 minuti di trasmissione che in radio sfumano ma in sala diventano 10 per poter contenere interamente quel capolavoro che è M.I.A., citata sopra. Che minuti luminosi, questa canzone fa davvero un sacco di luce.

E allora, per premiarci di essere tutti ancora lì, Nicolò e i suoi 3 compagni suonano 4 pezzi scelti da noi… mica a casaccio: “uno allegro ed uno triste” dice. Da “Il colpo” si passa a “Numeri” e con ordine si torna a “Ho una galassia nell’armadio” per poi chiudere con “Mi sono perso a Zanzibar“, pezzo inciso con Brunori Sas nel 2012. Dario Brunori è un altro di cui varrebbe la pena parlare, ma ci sarà tempo per quello. 

Nicolò dice, durante gli spezzoni in cui si racconta allo speaker, che ha scelto di annoiarsi per scappare dalla frenesia di Milano e in quella noia ha trovato un sacco di cose buone, tanto da metterle insieme e infilarle in un disco. Quante volte dimentichiamo il valore del silenzio, del tempo, del vuoto. Io un tempo fuggivo da tutte queste cose, ora invece è anche grazie ad album come questi che mentre mi annoio la mia testa vive le più belle esperienze. Fino a metterle insieme ed infilarle in un blog. 

Ognuno ha i suoi, di mezzi. 

Enza

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